Caffè Macchiato

Caffè macchiato


pubblicato su LiberaLaMentepress
Numero TRE - Giugno 2017

a cura di Barbara Pellegrino



Quando andavo a scuola io, all’epoca di Noè, imparare poteva essere abbastanza noioso.
In particolare, ricordo uno dei miei professori.
Era distante e verboso, teneva lezioni lunghe e non interattive, usava libri di testo scritti in un linguaggio incomprensibile e assegnava una tale montagna di compiti che noi alunni non riuscivamo ad avere uno straccio di vita sociale.
Ma queste difficoltà erano ben ripagate:
all’interrogazione, rispondendo alla prima domanda, se ci permettevamo di esordire con <<Allora..>>, non era inusuale che il caro professore replicasse:
<< Un discorso non può iniziale con “allora”. Torna a posto. TRE >>.

Inutile dire che questo era piuttosto demotivante.
Oggi per fortuna queste cose non possono più succedere. Se da una parte l’impianto didattico rimane tutto sommato abbastanza classico, dall’altra gli approcci e le tecniche di insegnamento sono radicalmente cambiati.
Oggi sono gli alunni e le loro esigenze a essere al centro del processo educativo. I professori si aggiornano, le lezioni vengono modulate, i libri di testo resi interessanti, il dialogo docente-discente lasciato aperto.
Inoltre, da qualche anno in tutto il mondo la formazione scolastica tenta altre strade: l’uso di “Non-Formal Learning Techniques”, molto efficaci in caso di problematicità.
Ovvero, quando ci sono degli alunni che mostrano di avere difficoltà di attenzione e motivazione, il docente abbandona la lezione frontale e propone attività di contenuto o in forma non tradizionale.
Per es., per aiutare i ragazzi ad analizzare e ragionare su un topic c’è la tecnica “Six Thinking Hats”, che crea sei personaggi con ruoli, caratteri e punti di vista diversi, che osservano un dato problema da diverse prospettive.
O “The Box of Emotions”, che aiuta gli alunni ad affrontare le tensioni in classe attraverso l’esplorazione e condivisione delle proprie emozioni in un ambiente protetto.
Ci sono anche il “Problem Solving” o il “Group Investigation”, che attraverso la curiosità stimolano i ragazzi a lavorare insieme per trovare la soluzione di un problema.
C’è anche il Reciprocal Maieutic Approach, basato sul confronto e la condivisione delle conoscenze, emozioni ed esperienze degli alunni, sperimentato per anni da Danilo Dolci, importante sociologo ed educatore.
Tutti questi metodi abbandonano il vecchio inflessibile metodo deduttivo per preferire quello induttivo, basato sulla selezione e analisi di ciò che è familiare e vicino. 
E, se tutto funziona come dovrebbe, pertinente.








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pubblicato su LiberaLaMentepress
Numero ZERO - Febbraio 2017

a cura di Barbara Pellegrino




È un po’ che una parola bombarda le nostre fragili menti. 
Gli intenditori del savoir vivre ci spiegano che la vera causa dei mali del mondo risiede nel fatto che non viviamo il quotidiano con “creatività”. Poiché a volte comprendo per definizioni, mi sono chiesta cosa si intenda per creatività, ma, non trovando soddisfazione nei dizionari, sono andata al secondo passo, ovvero, quando la teoria non aiuta, mi aiuto con gli esempi.
Quindi, alla loro ricerca, ho iniziato a guardarmi attorno.
Tutto ciò che ho percepito, però, era avvilente banalità, me compresa, finché non mi sono resa conto che, invece di aspettarmi l’inatteso fulmine che mi rischiari il grigiore incombente, il guizzante risolutore genio della lampada forse posso essere io.
Ho deciso quindi che la creatività non è inventare dal nulla, ma piuttosto, sviluppare in modo diverso.
Anche da discenti, per esempio, non memorizziamo solo nozioni, ma soprattutto proviamo a capire contenuti, connettere fatti, riorganizzare idee, rendere funzionali le teorie, sfruttare quanto possibile ciò che ci circonda o che già abbiamo.
Da tempo sono convinta che scoperte e invenzioni siano sempre state presenti in natura: le prime, intere; le seconde, in pezzi.
E li dobbiamo trovare noi.
Un mio vecchio insegnante soleva dire che gli alunni sono come grandi biblioteche disordinate, e che il suo compito era di mettervi ordine.
Sono d'accordo solo nella parte che ammette che ognuno di noi ha delle potenzialità. Non condivido, invece, che ci sia un ordine.
C’è un solo modo per svolgere un compito o far bene qualcosa?
La storia dimostra di no.
Il progresso umano è il risultato di anomale applicazioni della regola, è il prodotto di errori, incidenti, a volte disastri. E anche coloro che oggi chiamiamo geni sono quelli che in passato hanno pensato in un modo inconsueto (e spesso condannato).
Ma tutto quello che hanno fatto, molte volte, è stato solamente dare una nuova organizzazione o trovare un utilizzo alternativo. Hanno solo cambiato il loro punto di vista, hanno pensato in modo diverso da quello dell’epoca, e in questo modo hanno scritto  in modo sublime qualcosa che altrimenti sarebbe stato mediocre.
È così che intendo la creatività. Come un alfabeto: con un numero finito di lettere – che però può dare origine a un numero infinito di combinazioni – che rende possibile la creazione delle istruzioni del frullatore ma anche di capolavori letterari.
Le idee, però, non nascono da sole; il loro grembo deve essere nutrito in modo attivo, attraverso l’attenzione a cose, persone ed eventi che ci circondano, abbandonando la supponenza e il divano, e guardando tutto con curiosità e dubbio.
Ora credo mi preparerò un altro cappuccino: la maionese di quel cavolo di ricetta creativa me l’ha rovinato.


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